giovedì 9 giugno 2022

 


Claudio Borzi ha pubblicato:" Il tema della comunicazione è sempre molto importante:  ricordiamo infatti che le risposte che riceviamo dipendono da come abbiamo saputo comunicare. Nel contesto sanitario, se possibile, è ancora più importante perché ci riferiamo a situazioni spesso" Comunicare per Crescere

Salute: il valore aggiunto dell’atteggiamento positivo e di una comunicazione appropriata

 


lunedì 30 maggio 2022

 

A qualcunə piace complicato: può un artificio linguistico correggere le arretratezze socio-culturali?




Claudio Borzi

Mag 26

Bentrovate tutte e bentrovati tutti, amiche e amici, lettrici e lettori!

Ecco, nel 2022, per ribadire la propria sensibilità ai diritti di tutt* anzi, di tuttu bisogna tenere conto delle nuove forme linguistiche che nascono nel tentativo di evitare qualsiasi discriminazione e con il desiderio di rispettare ogni varietà di genere, includendo anche chi, legittimamente, rispetta una percezione di sé che non rientra né nel genere femminile, né in quello maschile (il caso della -u finale). 

Insomma, il politically correct avanza nella sensibilità di parte del mondo occidentale e cerca di farsi spazio anche nella lingua, parlata e scritta.

Oltre all'uso dell’asterisco e della desinenza in -u si afferma con sempre più forza l’idea di introdurre lo schwa - ə , non solo nello scritto, ma anche nel parlato. Eviteremmo dunque il rischio di sembrare tutti di origine sarda grazie all’abbondanza di parole con vocale terminale in -u e potremo invece dare l’idea di essere stati colpiti da una generalizzata paralisi da botulino per le labbra, perché lo schwa pare vada pronunciato come una vocale che risulti sintesi delle altre 5, la cui emissione corretta è favorita dalla totale inespressività dei muscoli che muovono la bocca. 

(da Wikipedia)

Questa è almeno l’idea che mi sono fatto prendendo informazioni sullo schwa.

Ma perché lo schwa? Perché assumerebbe il valore del neutro, ritenuto più inclusivo e paritario, che esisteva in latino ma non è rimasto nell’italiano e andrebbe a sostituire il valore universale assunto nella nostra lingua dal genere maschile.

Confesso però, a questo punto un mio impasse: è senza dubbio inevitabile che la lingua accompagni, preceda o segua i mutamenti socio-culturali del popolo che la parla e sono anche profondamente convinto che ogni discriminazione sia da condannare e da superare, la grande domanda che però mi pongo è:

Siamo certi che la ridondanza della doppia declinazione al femminile e al maschile o l'introduzione artificiale del genere neutro, imponendo la - ə, basti o serva per superare l’attuale gap che registra nella nostra società ancora una palese disparità di genere in molti campi?

Penso che producano molti più cambiamenti culturali e sociali un certo numero di leggi che garantiscano fattivamente la parità di genere e l’inclusività piena di ogni appartenenza benché statisticamente minoritaria.

Non posso neanche nascondere un senso di disagio che provo quando ascolto l’artificiosità ampollosa dei vari: tutte e tutti, le inglesi e gli inglesi, le cittadine e i cittadini, le atlete e gli atleti,  le milanesi e i milanesi etc. Questo modo stucchevole di esprimersi, ormai sta diventando più che altro un segno qualificante per alcune parti politiche e più che ad una esigenza di chiarezza nella comunicazione, sembra rispondere alla volontà o necessità di affermare una propria identità fondata su un’apertura di vedute in termini di diritti sociali. In definitiva, un lessico un po’ autoreferenziale e distintivo della propria appartenenza alla categoria delle persone più al passo con i tempi.

L’effetto deleterio di questa costruzione ridondante delle frasi è che se ne possa poi diventare schiavi e chi dovesse omettere di usarla, rischierebbe di non apparire tra coloro che mostrano maggiore sensibilità all’inclusione.

Speriamo che queste locuzioni cerimoniose siano come la moda, che a un certo punto passa: un po’ come la parola petaloso che è sparita dai radar o i pantaloni a zampa d’elefante.

A quanto pare, comunque, l’Accademia della Crusca ha bocciato l’introduzione dello schwa e non posso non concordare con Cecilia Robustelli, ordinaria di Linguistica italiana presso l’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia che con la Crusca collabora, quando afferma che “quando si cambia qualcosa in una lingua ci si deve innanzitutto chiedere se quel cambiamento funziona per assolvere allo scopo che un sistema linguistico deve compiere, cioè la comunicazione”, esortando poi a “non affidare alla grammatica il compito di comunicare nuovi generi”.

Insomma, non vogliatemene e, soprattutto, non dubitate della mia totale apertura mentale, desiderio di piena inclusività e rispetto paritario per ogni unicità esistente, per dirla con Drusilla Foer, ma continuerò a usare la lingua italiana per come l’ho appresa

Lo farò perché mi piace di più, suona meglio, è più spontanea dei vari “care e cari” che sanno di impostato, cerimonioso e inamidato lontano un miglio.

Ringrazio tutte le persone (toh!?) che hanno avuto la bontà di leggere fino alla fine, includendo proprio tutti, (scusate la coerenza) ed evviva la lingua italiana, così complessa e affascinante, ricca e vitale e che merita di rimanere libera da inutili forzature posticce.